13/08/2025 - 14:49
È una delle voci più autorevoli in materia. Carlo Doglioni è professore di Geodinamica all’Università La Sapienza di Roma. Per due mandati, fino allo scorso marzo, è stato alla guida dell’INGV, Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia, ed è attualmente vicepresidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Dopo il via libera del CIPESS, ha analizzato con l’occhio attento del ricercatore il progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina.

Cosa ha rilevato?
«Il ponte è stato progettato per resistere ad un terremoto di magnitudo 7,1, com’era stato quello di Messina del 1908. Ma non è questo l’unico parametro che un progettista dovrebbe tenere in considerazione. Le valutazioni sono essenzialmente ferme al progetto di 15 anni fa, nel frattempo la scienza è andata avanti, e ha fornito conoscenze nuove».
Per esempio?
«Prima di tutto è necessario tener conto dello scuotimento atteso del terreno: è questo che butta giù gli edifici e le infrastrutture in caso di terremoto. Si calcola sotto forma di accelerazione e di velocità di oscillazione del suolo. L’accelerazione viene misurata in rapporto alla gravità, la indichiamo con la lettera g. Su questo numero deve basarsi una costruzione per resistere a un sisma, nel caso del progetto del ponte è di 0,58 g».
Cosa significa?
«Per fare un esempio, per costruire una casa privata in Nuova Zelanda, a Wellington, si chiede di prevedere un’accelerazione del suolo di 0,82 g, figuriamoci per una infrastruttura critica come quella del ponte. I parametri utilizzati per la progettazione sono oggettivamente troppo bassi rispetto all’accelerazione che potrebbe causare un terremoto di magnitudo 7, con potenziali accelerazioni sia verticali che orizzontali di gran lunga superiori a 1g, senza contare che nella Sicilia sud-orientale è stato registrato un terremoto che secondo il catalogo storico è arrivato a 7,3 di magnitudo. Lo scuotimento del terreno dipende dalla profondità dell’ipocentro: più questo è superficiale, maggiore sarà lo scuotimento. Se alle fondazioni delle torri e degli ancoraggi delle funi si generassero accelerazioni importanti come quelle registrate in terremoti di queste magnitudo in altre parti del mondo negli ultimi anni, i parametri utilizzati nel progetto definitivo sarebbero insufficienti in particolar modo per le oscillazioni alle alte frequenze per gli ancoraggi delle funi che devono sostenere l’intero ponte».
Qualche dato su terremoti recenti?
«L’Aquila o Amatrice, ad esempio, hanno avuto una magnitudo ben inferiore a 7, ma hanno registrato rispettivamente di 1g e 0,8g. A gennaio un sisma di magnitudo 6 a Taiwan ha fatto misurare 2,15 g».
Altri parametri non sono stati considerati?
«A parte le valutazioni di carattere ecologico, sulle quali non mi addentro, vi sono vari altri aspetti che dovrebbero essere approfonditi. Dai possibili effetti da tsunami, alle liquefazioni del suolo e all’amplificazione sismica, dalle frane sottomarine ai venti: l’aumento del gradiente di temperatura tra mar Ionio e mar Tirreno, infatti, non potrà che aumentarne l’intensità. E ancora: l’innalzamento del livello del mare a causa del riscaldamento globale».
Valutazioni che potrebbero rientrare nel progetto esecutivo, però.
«Sì, ma questo significherà aumentare ancora di più i costi dell’opera che già ammonta a circa 14 miliardi di euro. Se dev’essere costruito, si valutino costi, benefici e priorità sociali. Verosimilmente in corso d’opera il costo dell’infrastruttura potrebbe quantomeno raddoppiare, si tratta di fondi che verranno drenati da altri capitoli, come ad esempio la manutenzione nazionale dei viadotti, sanità, istruzione, ricerca, ecc. Fare o non fare il ponte sullo Stretto di Messina è una scelta politica; tuttavia, considerato il gravoso impegno economico dei soldi dei cittadini e le tante priorità cui dobbiamo far fronte, oltre alle esigenze delle regioni coinvolte, forse sarebbe giusto chiedere agli italiani se ritengono l’opera prioritaria o meno.
Infine, qual è l’attività sismica del Nord-Ovest?
«Basso Piemonte e Liguria hanno tassi di deformazione relativamente bassi, però basta ricordare il terremoto della Liguria occidentale, avvenuto nel 1887, di magnitudo almeno 6.4-6,5, per capire che non si tratta di una zona esente da fenomeni sismici importanti; In quella sequenza sismica vi furono 631 vittime, 20.000 sfollati e alcune città vennero danneggiate tanto gravemente da essere abbandonate. È il caso di Bussana Vecchia, che venne ricostruita più a sud nel 1894. I terremoti, prima o poi, ritornano sempre».
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