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LA STANZA DELLE PAROLE SOSPESE

I cerchi che si chiudono. Il racconto di Bruno

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I cerchi che si chiudono. Il racconto di Bruno

L'illustrazione di Giulia Otta e la scrittrice Monica Bresciano

22/11/2023 - 16:03

di A cura di Monica Bresciano

Bruno mi scrive da Levico Terme e  condivide nella “Stanza delle parole sospese” la sua storia di adozione e di ricerca delle origini biologiche in un racconto commovente che mi tocca profondamente perchè con Bruno ho avuto il privilegio di percorrere un tratto di cammino molto importante in cui ho visto l'amore manifestarsi in tutta la sua pienezza e il suo splendore: l'abbraccio con la sua mamma dopo sessantaquattro anni.

 Chi sono io e da dove provengo? Quali sono le mie radici?

… e la chiave per chiudere il cerchio della mia esistenza era lì, nel cassetto del comò, da tanti anni conservata in modo indifferente in mezzo a tanti altri documenti…

La registrazione del mio Battesimo non aspettava altro che essere presa in mano ed essere analizzata attentamente… ma doveva aspettare che i tempi maturassero e che i dati in essa contenuti attirassero la mia attenzione.

Come bimbo nato da “donna che non consente di essere nominata” ovvero figlio di NN quindi non riconosciuto alla nascita, sul mio certificato di nascita appaiono nomi di persone che con me non hanno, di fatto, nulla a che fare. Persone anonime e sconosciute, dipendenti della clinica di ostetricia o della parrocchia, gli stessi nomi che appaiono in altri centinaia di certificati di persone come me, bimbi “abbandonati”.

Dopo aver vissuto per un anno e mezzo nelle stanze dell’IPI, Istituto Provinciale per l’Infanzia e maternità di Torino (brefotrofio), venni adottato da una coppia trentina e con loro vissi fino alla maggiore età alle pendici delle bellissime Dolomiti di Brenta. Terminati gli studi mi sposai e creai la mia famiglia.

Trattato con i guanti d’oro e cresciuto circondato da un amore infinito, come tanti di noi hanno ricevuto, ho sempre avuto nel mio più profondo la necessità di conoscere le mie effettive origini; a chi realmente i miei tratti somatici assomigliavano? Com’era la mamma che mi ha cullato nel suo grembo per nove mesi? Come mai mi ha dovuto lasciare? Mi avrà mai pensato in tutti questi anni? Si ricorderà del mio compleanno? Rimuginamenti che in questa occasione e anche durante le festività natalizie non mi davano tregua.

Sull’onda di questi sentimenti, una volta che anche la mia cara mamma di una vita se ne andò da questa esistenza terrena, mi misi a cercare informazioni sulla possibilità di conoscere e incontrare la mamma biologica sebbene una legge ingiusta, presente solo in Italia e che solo qualche anno fa è stata dichiarata incostituzionale, ci permetteva di conoscere i dati della mamma che ci ha dato alla luce solo al compimento dei nostri 100 anni. Trovai in internet alcuni gruppi che si occupavano di questa tematica e iniziai a leggere le storie e le vicissitudini di altri bimbi abbandonati come me e divenuti adulti. Storie tutte simili: identica necessità di colmare quei primi anni di vita e di conoscere le proprie radici.

Compiuti i 25 anni d’età, da qualche anno, c’è la possibilità legale di interpellare la mamma naturale tramite il Tribunale dei Minori, competente per la propria residenza, e quindi presentai istanza scoprendo che la mia mamma dei nove mesi era ancora viva ma che, apparentemente, non volesse togliere l’anonimato (qui si dovrebbe aprire un ulteriore e drammatico capitolo su come venivano e come alcune volte ancora vengono trattate le ragazze e donne che rimangono incinte al di fuori del matrimonio e come la loro volontà di tenere il bambino sia annullata dalla propria famiglia che le costringe ad abbandonare il figlioletto con magari vane promesse di poterlo rivedere in futuro).

La mia istanza fu rigettata.

Nel frattempo seguivo sempre più da vicino le simili peripezie degli altri “fratelli di culla” (come ci chiamiamo tra noi adottati - in Italia si stima ce ne siano circa 400.00) che, tra un errore di trascrizione dei nomi e cognomi e una battaglia legale ad alti livelli, stavano riuscendo ad incontrare la propria mamma “di pancia” con emozioni non descrivibili.

Dopo cinque anni dal primo tentativo al Tribunale feci riaprire il mio fascicolo per cercare in particolare eventuali fratelli. In questa occasione venni a sapere che mamma era ancora in vita e che sì, c’erano dei fratelli che però, essendo vissuti con la mamma nella famiglia originaria, ovvero non furono abbandonati e adottati, io non ne potevo conoscere le identità.

Il Tribunale, su mia specifica richiesta, mi confermò che potevo comunque ricercare la mamma biologica in modo autonomo.

Fu allora che ripresi in mano la scarna documentazione che avevo in mio possesso e finalmente la mia attenzione si concentrò sul foglio che riportava la mia registrazione di Battesimo.

I tempi erano maturi. Il particolare che mi insospettì fu il cognome identico dei miei due padrini.

Generalmente a fare i testimoni degli avvenimenti erano chiamati, come detto sopra, i dipendenti della struttura ospedaliera quindi con cognomi evidentemente diversi. Qui no, ma chi saranno stati: padre e figlia? fratello e sorella?

Iniziai così una ricerca certosina confrontando le esperienze degli altri fratelli di culla. Fui molto fortunato e le circostanze giocarono tutte a mio favore e, per farla breve, scoprii che i miei padrini erano marito e moglie; all’epoca (1957), infatti, la moglie generalmente assumeva di fatto il cognome del marito e l’impiegato di turno che redigeva gli atti non se ne preoccupava più di tanto, spesso non serviva nemmeno presentare un documento d’identità.

Dopo estenuanti ricerche a tappeto presso i vari uffici Comunali, proprio nella stessa zona dove anche il test del mio DNA mi aveva portato, riscontrai con enorme sorpresa che non erano un marito e una moglie qualsiasi bensì erano quelli che io ritenni potessero essere i miei zii “di sangue”.

L’emozione era alle stelle. Lei si rivelò essere la sorella di mia mamma. Questo fatto mi fece pensare che in qualche modo volessero tenermi. Purtroppo entrambi erano già deceduti, la zia già da molti anni mentre lo zio mancò più recentemente.

Ora ero più che mai determinato e dovevo per forza trovare mamma ed incontrarla; un turbinio di sentimenti ed eccitazione non mi facevano dormire la notte, avevo però l’appoggio incondizionato di mia moglie e dei miei figli che mi aiutarono tantissimo a superare questi momenti.

Gli intrecci in questa mia vicenda sono veramente incredibili.

Nel frattempo io stavo percorrendo il Cammino di Santiago, certamente anche per cercare un’ispirazione e una serenità per poter affrontare tutto questo “trambusto”.

Trovai un favoloso supporto, sia morale che materiale, nella mia sorella di culla Monica Bresciano che, con la sua innata sensibilità e abnegazione verso il prossimo, mi aiutò non poco. Dapprima l’avevo contattata solamente per verificare se il cognome che io avevo a disposizione e che era presente principalmente nella zona dove lei abitava, fosse da lei conosciuto.

Mentre percorrevo il Cammino mi messaggiavo con Monica per confrontarmi sulle azioni da intraprendere e per raffrontare i dati che a mano a mano stavo raccogliendo anche con l’aiuto di John Pierre Campitelli, altro fratello di culla esperto in questo tipo di ricerche. John da molti anni si sta adoperando, in particolar modo, per la ricongiunzione di bimbi italiani (circa 3.000) adottati nel dopoguerra da famiglie americane, devo dire con ottimi risultati.

Continuai ad avere stretti contatti con gli Uffici Anagrafe che a mano a mano mi fornivano i dati necessari per completare le mie ricerche e, nel giorno del mio onomastico ovvero il 06/10, ebbi la certezza di aver trovato il nome della donna che mi mise al mondo, in giovanissima età, e il miracolo dell’incontro poté avverarsi esattamente un mese dopo sempre tramite l’aiuto incondizionato di Monica.

Mamma volle incontrami. Mi pregava di non piangere perché aveva già pianto lei abbastanza, ma io piangevo dalla gioia di averla ritrovata e finalmente potermi riconoscere in un volto che è lo specchio del mio.

Da quel giorno dormo serenamente, il mosaico della mia vita è praticamente completato. Ora quando cammino per la strada non cerco più nei visi anonimi che incrocio qualcuno che mi possa assomigliare, ho trovato le mie radici, i miei nonni, la mia mamma, i miei fratelli. Sono certo che se le mie due mamme si fossero conosciute sarebbero andate certamente d’accordo.

Tra fratelli di culla ci si aiuta spassionatamente, ognuno mette a disposizione il proprio sapere e la propria esperienza per il bene di chi sta iniziando le ricerche delle proprie origini.

Quando i tempi maturano, tutto si compie.

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