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«Social e divieto ai minori? Importante è la responsabilità dei genitori»

L’avvocato vicese Blengino (penalista esperto sul tema) commenta la decisione australiana

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«Social e divieto ai minori? Importante è la responsabilità dei genitori»

L'avvocato penalista Carlo Blengino

09/12/2024 - 16:44

IL 28 novembre il parlamento australiano ha approvato in via definitiva une legge che vieta l’accesso ai social network ai minori di 16 anni. Si tratta di una delle normative più severe al mondo in materia. Il testo, che ha ricevuto il via libera sia della camera dei rappresentanti sia del senato, obbliga le piattaforme ad adottare “misure ragionevoli” per impedire a bambini e adolescenti di avere account sui social network. Se non lo faranno, potranno essere multate per una cifra fino a 50 milioni di dollari australiani (30,7 milioni di euro).

L’avvocato Carlo Blengino, di Vicoforte, svolge la professione esclusivamente nel settore penale, con una particolare specializzazione nel diritto penale legato alle nuove tecnologie, ai reati informatici ed alle problematiche di digital forensics, nonché nella tutela della riservatezza e dei dati personali.E' fellow del Nexa Center for Internet & Society del Politecnico di Torino, ha un blog personale sul quotidiano on-line IlPOST.it ed ha pubblicato lavori specialistici per parecchi editori, esperto di tutela della riservatezza e dei dati personali.

L'INTERVISTA

Avvocato Blengino, come commenta la decisione del Parlamento australiano?

Per come è stata presentata dai media, mi sembra una delle tante leggi manifesto che, a fronte di un problema urgente e reale ma assai complesso e sfaccettato -la tutela dei minori in rete- opta per la soluzione più facile e mediaticamente efficace; una soluzione ottima per i talk show televisivi e i dibattiti sui social (sic!), ma che si rivelerà del tutto inutile e inattuabile, quando non dannosa. È utile credo porsi alcune domande.   

Cosa vuol dire vietare i social network agli infra sedicenni e quale obiettivo persegue un tale divieto? Vuol dire vietare solo Facebook, TikTok e simili, o anche Whatsapp o Telegram, cioè i sistemi di messaggistica oggi indispensabili, attraverso i quali però usualmente si consumano odiosi atti di bullismo e di revenge porn tra minori? E i motori di ricerca? Sono strumenti fondamentali ma possono indirizzare a qualsiasi contenuto, compresi quelli illegali o dannosi. Ed ancora, i siti come YouTube, che sembrerebbero esclusi dal divieto australiano, sono anch’essi terreno ideale per far cadere i ragazzi (e non solo!) nelle cosiddette “rabbit hole”, le buche del coniglio, dove contenuti di dubbia qualità abilmente proposti all’utente dall’algoritmo, fagocitano il loro tempo ed il loro immaginario creando potenzialmente dipendenze: li vieteremo tutti? E i giochi on line? E i chatbot che utilizzano sistemi di intelligenza artificiale? Ma soprattutto, una volta stabilito cosa vietare, come si attua una legge come quella australiana su di una rete globale? Per consentire alle piattaforme americane di scovare il minore abusivo dovremo fornire tutti, adulti compresi, ancora più dati personali, così agevolando proprio i grandi provider di internet che di dati personali e di profilazione si nutrono. In alternativa si creeranno nuovi intermediari di identità digitale, consentendo però nuove forme di sorveglianza di massa e di controllo.

Non so se la legge australiana sia la prima al mondo ad imporre un divieto totale a 16 anni per i social network, temo però possa candidarsi ad una delle più inutili e dannose. Tanto varrebbe vietare gli smartphone sotto i 16 anni, cosa che immagino piacerebbe molto ad alcuni genitori: gli stessi genitori, temo, che oggi vivono nell’apprensione di non sapere dove sia il proprio figlio quando non risponde ai messaggi whatsapp o quando disattiva la geolocalizzazione dell’iPhone. Forse dovremmo dare più fiducia ai nostri ragazzi, fornendo loro risorse e conoscenza, piuttosto che statuire divieti.

La verità è che il tema della tutela dei minori nel nuovo mondo iperconnesso e costantemente mediato da dispositivi elettronici è un problema assai più complesso e impegnativo per noi adulti di quanto vorrebbe farci credere il legislatore australiano e l’imposizione di un divieto sui social network per i nostri ragazzi non risolve alcuno dei molti problemi legati alla digitalizzazione delle vite di tutti, adulti e minori.

 

L’Europa e l’Italia come si regolano in questo senso?

Il tema dei minori in rete è tema centrale da tempo in tutti i paesi tecnologicamente avanzati, con approcci diversi. Negli Stati Uniti il limite di legge per l’accesso ai servizi della società dell’informazione è 13 anni e poiché i fornitori di social network sono prevalentemente statunitensi, questo limite è quello di fatto accettato anche in Europa. Ciò che differenzia l’Europa, e dunque l’Italia, è una diversa attenzione al trattamento dei dati personali degli utenti, maggiorenni o minorenni che siano, ed una maggiore regolamentazione dei servizi online quando rivolti a soggetti minori.

Dal 2018 in tutti i paesi europei il consenso al trattamento dei propri dati per la fornitura dei servizi può esser prestato validamente in autonomia dal minore dall’età di 16 anni, ma gli Stati possono optare per un’età inferiore, sino ai 13 anni. In Italia il limite è fissato dal Codice della Privacy a 14 anni.

Ma al di là dei limiti previsti nel trattamento dei dati e nella profilazione degli utenti, che pure è un elemento di rischio assai rilevante per i minori nella fruizione dei servizi del web, ciò che più rileva in Europa è la recente introduzione di diverse normative, in particolare il Digital Service Act (DSA), volte a governare e regolamentare in profondità le grandi piattaforme che intermediano contenuti. Il DSA in particolare detta stringenti regole per “protezione online dei minori” (così titola l’art.28) e prevede multe milionarie alle piattaforme che non adottino misure adeguate “per garantire un elevato livello di tutela della vita privata, di sicurezza e di protezione dei minori sul loro servizio”.

È un approccio molto diverso, più faticoso ed impegnativo rispetto a quello australiano, ma decisamente più produttivo. Non vi è un divieto per i minori, ma una responsabilità degli adulti e delle grandi società del web nei confronti del minore.

Giovani e social. Lei che consiglio darebbe ai genitori?

Viviamo un tempo complesso ed in fondo siamo tutti un po’ minorenni in rete e nell’uso delle nuove tecnologie. Non è facile navigare in rete, interagire sul web e gestire l’iper-informazione a cui siamo tutti sottoposti, neppure da adulti. Però abbiamo una grande responsabilità verso i nostri figli: internet, il web e le nuove tecnologie possono essere una grande opportunità per tutti, al di là dei pericoli e della scarsa educazione che abbiamo sul tema. Le propongo una analogia con la bicicletta. Non diamo ai nostri figli piccoli una bicicletta (lo smartphone), mollandoli al primo incrocio in città dicendo loro di pedalare: li accompagniamo prima con le rotelle (e di strumenti di controllo parentale il web è pieno), poi li lasciamo girare nel cortile di casa (controllando dove vanno sul web), poi togliamo le rotelle e gli facciamo percorrere strade sicure, segnalando i pericoli dei siti canaglia e cercando di esser presenti nella loro navigazione. Poi, una volta che si sono impadroniti del mezzo, che hanno capito come funziona, le regole ed i pericoli, li lasciamo andare sulle strade e nelle città. È pericoloso e stiamo in ansia, io sempre, ma è la loro vita, e sono sicuro, sapranno come affrontarla. Non vieterei le biciclette ai minori di 16 anni.

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