INTERVISTA
Francesco Pannofino
09/02/2025 - 10:22
di Gianni Scarpace
Dietro la consolle del doppiaggio Francesco Pannofino ha dato la voce a George Clooney, Denzel Washington, Antonio Banderas, Tom Hanks (anche in Forrest Gump), Wesley Snipes e molti altri. È arrivato il successo “de visu”. Classe 1958, è nato a Pieve di Teco, Imperia, universalmente riconosciuto come uomo di Roma. È uno degli attori e doppiatori più amati d’Italia e per diventarlo, da quando è giovanissimo, ha recitato in teatro, in tv e al cinema. Il volto di Clooney da sempre parla attraverso la sua voce e in Boris è il trucido René che ne combina di tutti i colori. Nella vita reale in molti lo descrivono come “una persona sorprendente e semplice, nel senso migliore del termine”. L’intervista ce la concede pochi giorni prima del suo arrivo a Mondovì, al teatro “Baretti”, dove recita (con la moglie Emanuela Rossi, il figlio Andrea e l’attrice Eleonora Ivone) la parte del protagonista in “Chi è io”, commedia brillante in programma lunedì 10 febbraio (ore 21) nell’ambito della stagione teatrale comunale.
Pannofino, “Chi è io” vede sul palco lei, sua moglie, suo figlio ed un’altra attrice. Il modulo “tutto in famiglia” fa parte della grande tradizione teatrale.
Sì, è vero, per noi è stato anche un po’ inevitabile. Quando marito e moglie fanno lo stesso lavoro, spesso anche il figlio ci prova. La prima volta che l’ho visto in teatro come spettatore, ho detto “va beh, puoi provare a farlo ‘sto lavoro”, perché bisogna essere portati. L’ha scelto lui. Quando abbiamo dovuto allestire “Chi è io” di Angelo Longoni, il regista stesso, sentita la prima lettura del testo, ha detto: “Andrea va benissimo”. Così ha scritturato tutti.
Foto di Salvatore Pastore
Che cosa vuole “dire” al pubblico questa commedia?
Ha una struttura molto originale ed io, così, non ne ho mai viste. Comincia con un uomo che tenta di salvare un malcapitato che sta per annegare e si butta in suo aiuto. Parte un delirio nella mente di quest’uomo che è uno psichiatra. Si comincia in uno show televisivo in cui lo psichiatra è ospite per presentare il suo libro ed i conduttori sono la moglie, il figlio e l’amante. Ci sono poi le sedute psichiatriche con gli stessi protagoniste e lì succede di tutto, si dipana una matassa. È una commedia in cui si ride e si pensa parecchio.
Temi attuali?
Intanto sono situazioni abbastanza frequenti per tutti noi. Penso che chi vede questo spettacolo possa vedere meglio se stesso. Cosa che non è per nulla scontata e spesso non accade.
Una seduta psicanalitica a teatro?
Esatto, senza avere la presunzione di insegnare nulla. È la vicenda dei personaggi che appassiona. Vedo sempre che c’è gente molto attenta e si ride anche per le battute paradossali. Poi, alla fine gli spettatori ci ringraziano e continuano a parlarne perché incontri le persoen per strada o al bar, a ristorante e chi ha visto lo spettacolo senti che ne parlano ancora. Agevola la riflessione ed il dibattito in famiglia.
Lei è davvero tante cose: c’è un mondo che lei sente più affine?
Per me è tutto lavoro, mi piace diversificare. Teatro, cinema, televisione, doppiaggio, audiolibri per non annoiarsi, però il teatro è quello che mi appassiona di più. Quando fai uno spettacolo poi hai mesi di tournée. Lavoro da un po’ di anni con la produzione di Marco Balsamo, di “Nuovo Teatro”, mi trovo benissimo e penso che la collaborazione proseguirà.
Se non facesse l’attore e tutte le altre attività che cosa farebbe?
Non saprei fare altro. Ho cominciato da giovane, a 19 anni, ci ho provato, ho visto che ero portato, mi incoraggiavano ed ala fine ce l’ho fatta. Facendomi quella domanda, non riesco a vedermi in altre cose. E poi questo lavoro consente di giocare e di sognare per tutta la vita.
Lei doppia stelle planetarie del cinema. Che responsabilità è?
Il doppiatore deve restituire le stesse emozioni che è riuscito a dare nella lingua originale. Sembra facile, ma non lo è. e poi bisogna adattarsi anche alle espressioni del viso. Il pubblico deve pensare che è lui a parlare altrimenti il trucco non riesce. Bisogna incollarsi alla faccia e lasciare che il pubblico guardi il film e non si lasci distrarre dal trucco cinematografico.
C’è una storia particolare che la riguarda. Lei è stato testimone dell’agguato terroristico compiuto dalle Brigate Rosse in via Mario Fani, a Roma, per sequestrare Aldo Moro. Che cosa ricorda?
Abitavo in via Fani all’epoca (era il mattino del 16 marzo 1978, ndr) ed ero passato da lì pochi secondi prima del giorno del sequestro. Sono scappato quando ho sentito gli spari e poi sono tornato ed ho visto la scena tremenda. Sono stato sentito per sapere se ho visto qualcosa, ma più che altro ho sentito, non visto. Non sono stato un testimone oculare, ho sentito gli spari. Ho raccontato questo episodio nel mio libro “Dai, dai, dai” (2022, I libri della Salamandra).
È già stato a Mondovì, conosce il Cuneese? Che cosa vuol dire ai monregalesi?
A chi verrà a teatro dico che di certo passeremo una bella serata insieme e che il teatro sia caldo. Per noi poveri attori viaggiatori è importante mangiare bene e dormire bene. Conosco Mondovì e la “Granda”, d’altronde sono nato a pochi chilometri da lì, a Pieve di Teco (Imperia). Territori che mi piacciono molto e si mangia in modo eccellente: uno dei miei piatti preferiti è il bollito. Per non parlare dei vini. In questo sono sempre pronto.
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