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L’arresto è un messaggio

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L’arresto è un messaggio

L'arresto a Palermo con Messina Denaro sorvegliato dai carabinieri del Ros e del Gis

18/01/2023 - 10:17

di Gianni Scarpace

Non è retorica, è l’ultimo tassello nel complicato puzzle dell’epoca delle stragi in Italia. Una giornata importante una giornata di liberazione. “Per chi”, in molti, si chiedono? Prima di tutto per alcune zone della Sicilia in cui comparvero anche queste deplorevoli scritte in dialetto: «Il bene vien dal secco». E “il secco”, Matteo Messina Denaro, il fantasma della mafia, è stato arrestato dai carabinieri, dalla Procura, vale a dire dallo Stato. Ci sono elementi formativi che dipingono questo evento nella storia della criminalità mafiosa. Me ne convinco sempre più, anche alla luce dei commenti che la nostra pagina Facebook, dopo pochi minuti dalla pubblicazione della notizia lanciata dall’Ansa con una sola riga, registrava molte visualizzazioni (alla fine della giornata di lunedì sono state oltre 30 mila) e le reazioni. Tante. In uno dei commenti c’era addirittura chi si chiedeva chi fosse “questo Messina Denaro”. Mi ha fatto sorridere amaro. Anche perchè nell’emozione e nella foga mista alla soddisfazione di fornire, dall’angolo remoto della “Granda”, una news così importante, ho anche sbagliato il nome del “siccu”, di “Diabolik”, di “iddu”, scrivendo Mattia al posto di Matteo (corretto poco dopo). L’identità, carta che i mafiosi usano a fasi alterne: sicura e feroce quando deve imporsi sugli altri, falsa quando deve fuggire alla giustizia che lo cerca da 30 anni. Di nuovo, certa, però, quando il capo sa che è sconfitto: «Lei sa chi sono io. Sono Matteo Messina Denaro», ha risposto al capo dei carabinieri del Ros che lo guardava negli occhi.

Niente sarà più come prima. Un arresto eccellente, l’ultimo della mafia stragista, ma è un passo. Per smantellare una rete che ha fatto vittime e alterato una competizione economica di certo in una parte d’Italia e poi al nord, se è vero che solo il patrimonio personale di Denaro alias Andrea Bonafede, professione geometra, sarebbe ingente. E invece Messina Denaro, da logo, icona, entità, ologramma, è diventato un malato di cancro che cerca cure nella sua città, con “una fetta di borghesia che l’ha aiutato”, hanno aggiunto gli inquirenti nella conferenza stampa dopo l’arresto. «No, non è finita», hanno, ripetuto in decine di interviste protagonisti della legalità che abbiamo avuto il piacere di ospitare a Mondovì: Giancarlo Caselli, Giuseppe Antoci, Paolo Borrometi, Davide Mattiello che abbiamo fatto parlare con gli studenti perché riteniamo fondamentale far conoscere realtà non così “tangibili” dalle nostre parti e tenere accesa la “fiammella” della legalità. L’arresto in questo senso è un messaggio: per i giovani.

Altra angolazione. «Da oggi, da questo arresto, sarà possibile conoscere particolari sui legami, sulle coperture», hanno detto gli esperti di storia della mafia. Possibile, dicono, non scontato e questo sarà il lavoro prossimo futuro, compresa quella “borghesia” a cui ha fatto riferimento il capo della Procura di Palermo che avrebbe tutelato l’identità di Messina Denaro.

Lo Stato deve mettere i suoi servitori nelle condizioni migliori per lavorare, rivendicando i principi basilari della Costituzione. “Cosa nostra” oggi è più pulviscolare, meno “cupola” come la ‘ndrangheta, quindi più difficile da far morire, ma l’arresto è un messaggio enorme per tutti i latitanti ed i mafiosi. È diventata comitato d’affari, agisce sul tessuto economico e lo è da quando ha abbandonato la strategia stragista: ecomafie, rifiuti, appalti di grandi opere sono nel mirino delle organizzazioni criminali. L’arresto è tassello di forte impatto di successo investigativo, mediatico e sociale di un percorso verso la vittoria contro l’antistato per eccellenza che spesso è più ricco (in termini di risorse) dello Stato legittimo. Senza dubbio è una vittoria, una prevalenza dello stato contro l’antistato (ne fa memoria il terrorismo). E come tutti successi deve, però, avere un seguito. È la dimostrazione che la mafia non è invincibile, ha un inizio e una fine, dicendolo con le parole di Giovanni Falcone che ammoniva: si può vincere, ma solo impegnando le forze migliori delle istituzioni. Per troppo tempo non è stato così anche a causa della politica che si mette in mezzo alimentando i sospetti di intreccio con la mafia. La storia dirà se tracce di trattativa macchiano la cattura di Denaro, ma oggi c’è soprattutto la necessità di capire perché ci sono voluti 30 anni per prenderlo, altri decenni per Riina e per Provenzano, tutti catturati non su un’isola del Pacifico, ma in Sicilia, a due passi dai centri storici delle città – rifugio. Matteo Messina Denaro è un uomo che ha creato sofferenza commettendo o ordinando delitti orribili: ha gettato nella disperazione mogli, famiglie, genitori, ha deciso di sciogliere nell’acido un bambino, ha messo tritolo sotto le auto e sotto i ponti. Catturato grazie al “metodo Dalla Chiesa”: la raccolta sistematica di dati ed intercettazioni negli anni. Smontiamo gli stereotipi che hanno anche reso affascinante questa figura, che è la parte più pericolosa perché di seducente questo spento figuro di 60 anni che cede anche al selfie con un uomo col camice all’interno della clinica, ha proprio nulla. Oggi raccontiamo un’altra storia: il mito della mafia non esiste. E si faccia un passo avanti: che questo arresto serva per svelare le cose non dette o non indagate finora e, soprattutto, per dire una parola chiara: la mafia anti stato ha avuto a che fare con lo Stato? L’agenda rossa di Paolo Borsellino (dice il fratello Salvatore) è ancora un mistero. Il ritrovamento sarebbe il coronamento di una efficace lotta alla criminalità nella storia repubblicana. È la scatola nera della strage di via D’Amelio, grazie alla quale sapremmo cose non conosciute oggi. Paolo Borsellino diceva: “Sarà stata la mafia ad uccidermi, ma altri volevano la mia morte”. Ecco la vecchia – nuova sfida dello Stato condita dal dibattito anche sui temi intercettazioni, ergastolo ostativo ed altro. Lo Stato deve fare la sua parte senza avere paura di fare domande e non deve ripetere circostanze inspiegabile come la “non perquisizione” della casa di Riina subito dopo il suo arresto.

Senza retorica, accennavo prima. È chiaro che qui si è vinta una battaglia perché è stato finalmente incarcerato il capo della cosca trapanese, ma la guerra alla mafia continua, ha un’altra dimensione. Le mafie non cambiano dna, cambiano i rapporti con il mondo economico, con la politica. E il dna dice che ha abbandonato la tattica stragista, ma gli interessi no. L’arresto è un messaggio al paese: scegliere la strada delle mafie non conviene, prima o poi si è colpiti dallo Stato. Oggi la scelta è unica: il vivere civile, la legalità e questo va detto ai giovani. Paga solo la scelta di una vita normale, fatta di libri e di cultura.

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