Foto di Nikolas Gannon su Unsplash
20/03/2024 - 16:32
Non è difficile distinguere tra diritto di manifestare e contestazione senza regole, intollerante, insopportabile. È uno scenario che poco ha che fare con “protesta civile”. A Napoli il direttore di un giornale non può parlare su Israele e Palestina, chiede di confrontarsi e gli dicono di no. Altre intolleranze alla Sapienza di Roma, e via dicendo. Ho paura che la maggior parte delle proteste parta da cose che non si sanno. Che nel complesso stato di Israele c’è una società spaccata sulla questione palestinese. Ignorano magari che molti ebrei non sono sionisti, e che lo stesso sionismo ha mille sfaccettature e mille definizioni. Negano le atrocità commesse sulle donne ebree il 7 ottobre e a chi glielo fa notare oppongono l’accusa di disconoscere le immani sofferenze delle donne e dei bambini di Gaza. Liquidano l’avversario prima che apra bocca: ebreo è sionista, quindi razzista, quindi fascista. Insistono sulla guerra tra Israele la Palestina, senza tener conto che sono i terroristi di Hamas i nemici da combattere. E anche se si concorda sul fatto che Israele ha colpe certe, il dialogo è tra sordi: c’è solo la volontà di non far parlare l’interlocutore. Mi ricordano quelli che hanno insultato il portiere del Milan, ma sono peggiori, perché quegli studenti avrebbero le armi dello studio per capire, per distinguere tra diritto di manifestare e prevaricazione.
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