20/06/2023 - 14:53
Usando un'espressione idiomatica potremmo dire che siamo arrivati “Quat a gnün” al culmine dell'estate. “Quat à gnün”, e cioè quasi senza accorgercene, senza pensarci e senza notare che pioggia dopo pioggia, temporale dopo temporale, se è pur vero che abbiamo scansato lo spettro della siccità estiva ci ritroviamo però in vetta della stagione e quindi con la punta dei piedi già inclinata verso la discesa e la fine dell'estate. Ogni anno ci stupiamo di quanto presto arrivi il solstizio: presto rispetto al clima, perché la sua data astronomica può variare al massimo tra il 20 e il 22 di giugno. Arrivava e ancora sembra arrivare presto qui nel nostro cul di sacco alpino la data del culmine solare perché abbiamo quasi sempre la primavera allungata e variabile come lo sono i temporali e le ramate fredde che tra marzo e giugno imperversano tra fascia precollinare e chiostra montana. Quest'anno in particolare, come da tempo non provavamo, la primavera ci è stata in gran parte sottratta con le tanto attese piogge di cui infatti non ci sentiamo di parlare male. Siccità estiva scansata, ma primavera povera di quegli spazi sereni e caldi che permettono a noi, che so, di tagliare l'erba del giardino piuttosto che godere del trionfo naturalis e di goderci una ad una le erbe semplici che ogni anno vediamo rivelarsi in una varietà che solo il ritardo dello sfalcio permette di riconoscere e di gustare. A partire dalla vaga sottile Gilardina il cui umile bianco ombrellino che a fine maggio copre il prato dietro casa rinvia in realtà a storie di nomi e cognomi medioevali nati oltralpe e di usi terapeutici remoti ancor oggi riconosciuti. Oppure lo scatto piramidale del fior d'Auruncus che a inizio giugno quest'anno ha ancora una volta ricoperto di piumini bianco-giallognoli il sottobosco che arreda il vallone di sotto e che rinvia al ricordo dei primi germogli che la fine inverno offriva alle prime insalate di campo. Tant'è, siamo arrivati al solstizio, a quel san Giovanni giustamente appellato nei calendari popolari come ”piangente” perché segna il culmine ma anche l'inizio della fine della luce dell'estate. Finita prima di cominciare? È quella astronomica che già declina, mentre per quella “climatica” dovrebbe essere l'inizio. Lo testimonia l'arrivo nello scorso fine settimana dell'anticiclone africano-mediterraneo che da sempre negli ultimi 30 anni è il vessillifero della nostra bella stagione e che in queste ore sembra confliggere con le arie umide che trasporta da Ovest l'Atlantico insieme ai loro temporali e rovesci che continuano ad alimentare torrenti, rii e falde appena usciti da un aridità storica. Il primo caldo verso o attorno ai 30 gradi è arrivato anche se fino a giovedì 22 la prospettiva dei temporali pomeridiani rimarrà sempre aperta. Però le temperayure medie sono ormai sopra i 20 gradi (che sono la soglia termica della bella stagione) e le massime già occhieggiano oltre la barriera dei trenta. Siamo ai margini tra l'Africano e l'Atlantico e lo si vedrà forse giovedì con l'aumento dei temporali e delle umidità. Poi però da venerdì saranno arie più fresche ma secche a prevalere e in un fine settimana di sole le minime scenderanno a 15-16 gradi mentre dopo mezzogiorno si potranno toccare localmente i trenta. Sul dopo si vedrà se san Giovanni sarà veramente “piangente” o se l'estate ripeterà un copione fin troppo conosciuto negli ultimi vent'anni.
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