07/05/2024 - 13:29
Quante volte, quanti anni abbiamo condiviso quella sentenza popolare che da sempre ci ricorda che maggio “a l'è 'l pì bel meis 'd l'ani”. Non c'è bisogno di spiegarne il perché. È semplice. Basta uscire su un prato contornato di multicolorate aquilegie, passeggiare tra il profumo spermatico dei sambuchi già tutti aperti nei loro ombrelli bianchi o ascoltare api e bombi che bottinano sul timo rosato o passare sotto il gran pavese di una profumata rosa inglese per sapere che, quando vuole, maggio sa essere il mese più bello dell'anno. Lo ricordava una sentenza popolare secondo cui sarebbe (ancor più) sfortunato chi muore nel mese di maggio. Perché è a maggio che la natura si presenta nella sua migliore veste, con colori e un verde vivace ma tenue che poi non vedremo più, né in estate né in autunno. Maggio è una metafora che si ripete ogni dodici mesi dell'acme più felice del nostro “grande anno” dell'esistenza. Tuttavia, un replay non sempre replicato, perché se la pioggia era invisa alla cultura dei campi (almeno di quelli coltivati a grano) anche la nostra visione olistica dei “vivants piliers de la nature” di Baudelaire patisce di non potercisi muovere, quando piove, tra questi “pilastri” del mondo naturale. Non con quella libertà almeno che soltanto il “bel tempo” ci permette. La campagna non voleva piogge a maggio. Valeva anche per questo mese ciò che si predicava per marzo: “A ventarìa ca gnanca i ràt a piseissou 'n campagna”. Ad aprile sì, doveva piovere e anzi doveva essere una bagnarola: Avrìl a n'a tranta, sa n'aveissa trantùn a farìa mal a gnùn”. E quest'anno infatti aprile lo abbiamo ringraziato, così come (eccezione alla regola) avevamo fatto nel 2023 per un un maggio che con i suoi 400-500 e più millimetri d'acqua piovana aveva interrotto un triennio di angosce per una siccità diventata estrema. Li ringraziamo questi ultimi dodici mesi che hanno ridato vita piena alla nostra sorgente. Segnata come perenne nelle carte, dopo anni di penuria era diventata quasi muta ormai come quella della fontana malata di Palazzeschi, Quasi, perché non aveva mai smesso di stillare almeno un filo, stentato ma continuo. Oggi dopo gli almeno 1250-1300 millimetri degli ultimi dodici mesi (ma sulla balza collinare sono stati molti di più) la fontana della corte ha ripreso, come i merli e il coucou, a cantare. E allora non possiamo nemmeno più lamentarci di queste piogge che l'inizio di maggio sembra aver regalato a quel balzano mese di aprile di quest'anno. È la primavera, bellezza. Da sempre regina di una variabilità che, se contenuta, può anzi riuscire ad accendere ancor più il nostro senso per maggio. Così non ci lamenteremo più di tanto dopo la pausa quasi solare di giovedì e venerdì quando, nel fine settimana e soprattutto domenica, qualche nube insistente e qualche piovasco andrà a movimentare le nostre uscite fuori porta. Se i rovesci locali si alterneranno alle schiarite anche lunedì e martedì prossimi venturi, le temperature saranno però attorno o sopra i 20° con medie giornaliere ormai sopra i 15°. Sapremo allora apprezzare in questi sprazzi di maggio il maturare della primavera.
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