PESIO-BISALTA
21/02/2024 - 11:04
di m.ber
Ricorre oggi l’ottantesimo anniversario della morte del partigiano Mario Ferrua, avvenuta il 21 febbraio 1944 per mano fascista nei pressi della Cappella di San Rocchetto, in via Provinciale San Bartolomeo. Il Comune di Chiusa di Pesio e il Museo della Resistenza “I Sentieri della Memoria” rendono omaggio al primo Caduto della Banda Val Pesio, appena diciannovenne.
Lo fanno condividendo l’articolo pubblicato nel 1945 su “Movimento”, periodo del M.U.R.I-Movimento Unitario del Rinnovamento Italiano. Il testo pubblicato nelle ore immediatamente successive all’uccisione di Ferrua viene ripreso integralmente su “Rinascita d’Italia” (Poesia Armata), foglio clandestino della III Divisione Alpi. Eccolo, di seguito.
“Un movimento insolito, una interrogazione sulle labbra di tutti i Chiusani: “partigiani o fascisti”? Un gruppo di uomini armati e vestiti in ogni foggia, gira per le strade del paese, con le facce scure, con le armi pronte. Dopo poco una sparatoria, bombe a mano; un correre spaventato e curioso. Che è? Al bivio di S.Rocchetto un camioncino di partigiani è stato fermato (mediante spartineve in mezzo alla strada). Sei erano e fiduciosi: fermarono e il più giovane balzando svelto dal camion grida: “Non sparate, siamo partigiani anche noi”. Non ha udito la risposta, perché una raffica lo ha colpito al cuore ed è caduto con la bocca schiusa, sereno; l’ombra del dubbio non lo ha potuto sfiorare: “siamo partigiani anche noi”.
Sulla piazza del paese dove il comandante di quella marmaglia, di fronte al corpo ancora caldo del primo caduto nostro, teneva una concione; mi sono state riferite le parole uscite da quella bocca oscena: non ricordo che una frase: “è ora di finirla di ucciderci tra fratelli”, ed un’altra ancora: “ecco la belva della montagna, guardatela!”. E la belva della montagna, ancora sanguinante, bagnava di rosso il selciato della piazza e la gente muta, sbalordita, incredula a tanta crudeltà guardava senza osar proferire parola di commento.
Ti hanno preso a calci Mario, ti hanno malmenato; ma tu non li vedevi. Tu, la belva della montagna, erravi tra gli spazi celesti, o forse eri accanto ai tuoi compagni feriti che tornavano a dare a tutti i partigiani la triste notizia. Ti lasciarono là disteso e la carità della gente ti raccolse e portò all’ospedale. Fu là che ti vidi, bello nella morte dei santi. Ho sollevato la giacca per vedere le tue ferite perché non credevo alla tua morte: io ti vedevo respirare. E così ti ricordo, con i tuoi colori che ancora conservavi, con la tranquilla e serena espressione della tua fede. […] Arriva il misero corteo sanguinante: volti segnati dalla lotta, corpi traforati dalle raffiche e sostenuti dai compagni pietosi, bocche tremanti di pianto al ricordo del compagno caduto, occhi sfavillanti di sdegno per l’infamia della vilissima imboscata. Parole di cocente rammarico per l’inutile nostra generosità di pochi giorni prima che aveva risparmiato dal massacro un’intera compagnia di fascisti accerchiata al Pian delle Gorre, per evitare spargimento di sangue fraterno.
[…] E presto verrà la madre, e non sapremo cosa dirle, potremo soltanto piangere con lei. Era il più giovane, il più buono, il più coraggioso: ce lo aveva dato fiduciosa, non abbiamo saputo difenderlo dalla morte.
[…] Sono istanti terribili di sconforto che supereremo soltanto domani col nuovo sole abbagliante sulla neve fresca. Ma intanto abbiamo visto nell’avvenire, abbiamo capito la strana giustizia di questa guerra dove i fratelli devono uccidere i fratelli ferocemente…Abbiamo capito che i nostri caduti saranno la sola luce che illuminerà la nostra strada, la sola forza che ci sosterrà nel cammino; che essi non possono essere caduti invano e perciò l’avvenire sarà migliore; che noi dobbiamo essere degni del loro estremo sacrificio sacrificandoci a nostra volta senza lamenti.
Questo ti dobbiamo, o Mario Ferrua, nostro primo caduto”.
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