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I VIAGGI di Dino Bonelli: nello Stato africano con altri monregalesi

Eritrea, dove l’Italia “è ancora nelle cose”

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Eritrea, dove l’Italia “è ancora nelle cose”

11/05/2024 - 15:46

Dino Bonelli, estroso fotografo e giornalista sportivo e di viaggi, di Prato Nevoso, da tempo è diventato il nostro “inviato speciale all’estero”. Questo incarico lo scriviamo tra virgolette perché non siamo noi ad averglielo dato, ma è lui che ogni volta che torna da qualche viaggio particolare, quasi sempre accompagnato da altri cuneesi, ci dona, gentilmente, un bel rendiconto delle loro avventure che noi siamo lieti di pubblicare sul nostro giornale. Negli ultimi due anni, infatti, abbiamo pubblicato racconti di viaggio nell’esotica Sao Tomè, nella martoriata Siria, nella blindata Libia, in Azerbaigian, nella remota Timor Est e anche nell’apprensivo Afganistan. Appena rientrato dall’Eritrea, ci racconta dell’ex colonia Italiana in Africa. Con lui Maurizio Icardi, dentista di Vicoforte, i cuneesi Paolo Bressy e Alessio Meineri e il braidese Roberto Cravero.

“Avevamo letto che l’Eritrea, colonia italiana dal 1890 al 1941, era anche denominata Corea del Nord d’Africa, ma non immaginavamo che questo appellativo fosse dovuto al suo essere così chiusa, così ermetica al progresso, così inchiodata alla metà del secolo scorso, pensavamo solo al fatto che è soffocata da un regime dittatoriale molto severo. Intanto va detto che in Eritrea non esiste internet e anche le linee telefoniche sono scarsissime e solo per la gente del posto, ma questo ha fatto sì che anche noi ci siamo isolati dal mondo e disintossicati dal web, e in giro, abbiamo visto che le persone, non avendo social ed email da controllare, ha più tempo per i contatti reali e si saluta ancora guardandosi negli occhi. Per muoverci dalla capitale Asmara, che con 650 mila abitanti copre un decimo dell’intera popolazione, abbiamo dovuto ottenere permessi e anche per questo, come per altri difficili servizi di logistica, ci siamo preventivamente appoggiati a BHS travel. Asmara sembra essersi fermata al tempo in cui era la capitale della nostra colonia, i bar, i ristoranti, gli alberghi e anche i cinema, questi ultimi ora dismessi, portano nomi italiani e hanno gli arredi e le luci dell’epoca. Gli anziani parlano ancora la nostra lingua e qualche giovane l’ha ancora studiata in una scuola italiana attiva fino agli anni della pandemia. Il caffè, la pasta, le pizze sembrano fatti a Napoli, la maggior parte delle macchine sono ancora Fiat o Alfa Romeo, e di queste due aziende ci sono ancora le fabbriche, ora ridotte a ruderi irrecuperabili. Girando per il paese, su strade “made in Italy” decisamente tortuose e non sempre in buono stato di conservazione, si ha subito l’idea di un popolo povero, che vive principalmente di agricoltura e che in questo periodo dell’anno, stagione secca, si sta preparando con arature a traino animale e semine a mano, alle piogge dei prossimi mesi. Abbiamo camminato sui binari dismessi della lunga ferrovia che i nostri ingegneri e la manodopera locale costruirono un secolo fa, rotaie e vagoni ora rosicchiati dalla ruggine. Qua e là, abbandonati nei campi o in mezzo alle viuzze di alcuni paesi, abbiamo visto grandi reperti bellici come carri armati ed auto blinde imbruniti, imbruttiti dal tempo, che ricordano il triste e sanguinoso passato di questo paese. Molti di questi mezzi, recuperati e impilati in un grande campo di fianco all’aeroporto di Asmara, l’unico in funzione di tutto il paese, formano un museo bellico a cielo aperto che noi abbiamo visitato di corsa. Perché durante tutti i nostri viaggi, dopo le tante ore di macchina per i lunghi trasferimenti, amiamo distendere le gambe con corsette leggere che ci portano a perlustrare l’habitat che ci circonda. Così è stato ad Asmara, ma anche nei pressi di Karen, seconda città del paese e sede di un grosso mercato locale, con tanto di vendita al dettaglio di cammelli, il lunedì, e così è stato anche a Massaua, città costiera del Mar Rosso dove abbiamo visto i resti bombardati del nostro colonialismo. Impressionante l’immobile che ospitava il Banco d’Italia. Abbiamo corso anche nei due giorni passati su una delle belle e desertiche isole Dahlak, considerate un paradiso naturale incontaminato senza eguali. Li il mare cristallino con i suoi coralli e i suoi pesci, esplorati con lo snorkeling, sono stati l’apice emotivo dell’intero viaggio. Un viaggio a ritroso nel tempo, che ci ha fatto capire un po’ di storia, relativamente recente, d’Italia, ci ha riportati a vivere un’epoca che non abbiamo vissuto e ci ha regalato un “silenzio” oramai raro, quello della mancanza di internet e di tutte le sue asfissianti tentazioni.

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